Questo mio racconto è il risultato di una selezione di fotogrammi raccolti nei miei molti viaggi. È nato in principio dalla curiosità di conoscere, attraverso i miei occhi, la “Terra Santa” ed è proseguito con la crescente passione nei confronti del popolo palestinese, che della propria terra ha fatto la prima ragione di vita. Grazie ai numerosi corsi e workshop frequentati con il maestro Gianni Pinnizzotto e la sua scuola di fotografia Graffiti, sono arrivata a ottenere nei miei scatti la giusta tecnica di “racconto per immagini” e ad affinare le mie competenze di ripresa fotografica. Il mio primo reportage fotografico l’ho realizzato proprio con la scuola in Libano, visitando i campi profughi palestinesi nei dintorni di Beirut. Proprio in quella occasione è nato il mio interesse per questo popolo ed è maturata l’esigenza di approfondire la mia conoscenza della loro storia recente e passata. La sensibilità nei confronti delle popolazioni con forte disagio sociale si è sviluppata in me anche durante alcuni viaggi che si sono intervallati con quelli in Terra Santa. L’enorme differenza delle classi sociali in India, le caste, nonché le condizioni proibitive dei poveri degli altopiani peruviani mi hanno suscitato una profonda riflessione sul disagio sociale.
Dear Palestine
Nel mio primo viaggio in Israele e nei territori palestinesi con Graffiti, oltre a visitare i luoghi sacri di Betlemme e Gerusalemme – e ad assaporarne la rara bellezza – ho potuto filtrare attraverso il mio obiettivo i racconti di poeti e scrittori palestinesi a me molto cari. Dalle storie di Ghassan Kanafani che racconta il dolore, la rabbia e la non rassegnazione del suo popolo, oltre che il dramma dell’occupazione, a quelle di Susan Abulhawa, in cui violenza e atrocità assumono tonalità lancinanti. Mi sono immersa nel fascino della città di Nablus, l’antica Sichem, per visitare alcuni siti interessanti come il pozzo di Giacobbe, che è stata l’occasione per incontrare Fra’ Giustino, Monaco greco-ortodosso dal volto carismatico che, nonostante la veneranda età, manifesta ancora notevole abilità e passione nel riprodurre miniature di icone religiose. Ho proseguito nei dintorni della città di Gerico dove, per raggiungere il Monastero di San Giorgio, si passa attraverso il Deserto delle Tentazioni, uno dei panorami più incantevoli che abbia mai avuto la fortuna di ammirare, un coacervo di emozioni per gli occhi e per l’anima. Ad Hebron non ho potuto non visitare la Tomba dei Patriarchi e la Tomba di Adamo, Moschea di Omar, dove il forte contrasto tra le religioni è ancor più esasperato dalla mano pesante dell’occupazione. Non meno avvincente è stata la sosta nel deserto, un luogo senza tempo, impreziosito dalla indescrivibile ospitalità dei nomadi beduini Rashaida che mi hanno onorato dell’invito a condividere il loro prelibato cibo.
Sono arrivata a Gerusalemme nei giorni antecedenti la Santa Pasqua. Nei miei scatti ho voluto raccontare la città Santa, dove le religioni monoteiste più importanti si incontrano e si mescolano tra il fiume dei pellegrini che vi si recano da ogni parte del mondo. Percorrendo le stazioni della Via Dolorosa, nei vicoli della città fiumi di fedeli in processione sfilano e si alternano per raggiungere la Basilica del Santo Sepolcro per pregare sulla Tomba di Gesù. Migliaia di ebrei pregano davanti al Muro del Pianto, mentre i musulmani si recano sulla Spianata delle Moschee, Al Haram Ash Sharif, dove emergono la maestosa Cupola della Roccia e la Moschea di Al Aqsa. Purtroppo questo sito negli ultimi anni è diventato teatro di contrasti. Nonostante il divieto del governo israeliano alcuni coloni vi si recano in visita scortati dalla polizia, creando tensioni. Nel mio terzo viaggio riparto da Betlemme dove decido di prendere un taxi collettivo per raggiungere Jenin, con l’obiettivo di visitare “The Freedom Theatre”. Il Teatro all’interno del campo profughi nasce con l’intento di fornire supporto terapeutico soprattutto a quei giovani palestinesi che sono stati vittime delle violenze subite a causa dell’occupazione. Attraverso diverse espressioni artistiche, tra cui corsi di recitazione, film making, fotografia e scrittura creativa, la mission di questa struttura è quella di promuovere l’arte come catalizzatore per il cambiamento sociale, rimuovendo le barriere culturali attraverso una visione positiva del futuro. All’interno del campo si trova anche un cimitero dei martiri, monito di tragedia e sofferenza; da qui il progetto della struttura di The Freedom Theatre nato per evitare appunto che la disperazione di tanti giovani palestinesi si trasformi in violenza e martirio. Da Jenin, infine, speravo di poter raggiungere Haifa, così ben raccontata da Kanafani, e proseguire fino in territorio israeliano, a Tiberiade famoso per la disarmante bellezza di un lago immerso tra i panorami più affascinanti del mondo. Camminando nella periferia di Betlemme, oltre ad immortalare i murales di Banksy e tutte le altre espressioni di arte di strada di protesta contro l’occupazione e il muro di separazione, mi imbatto per caso in due quartieri che successivamente scopro essere due vecchi Campi Profughi. Dheisheh Refugee Camp e Aida Refugee Camp. Se in alcuni ritratti ho voluto evidenziare il pesante passato attraverso le rughe che solcano i volti degli anziani, in altri l’ottimismo, la speranza e la gioia si palesano attraverso gli occhi e i sorrisi dei bambini. Ti strappano sempre un sorriso, nonostante tutto, se hai la fortuna e la voglia di ascoltare i loro racconti carichi di speranza. Gli invisibili agli occhi del mondo, indeboliti dai muri di separazione ma temprati dalla incessante ricerca di pace e giustizia. La Palestina che ho voluto raccontare è la testimonianza del coraggio di uomini e donne legati dal forte senso di appartenenza alla propria terra, una terra un tempo rigogliosa e oggi dilaniata da contrasti tra due popoli in costante conflitto ma accomunati dalla stessa sofferenza storica. Una terra che oggi a fatica, ma anche con grande speranza, si definisce ancora “Santa”. Purtroppo mancano le immagini della Palestina di questi giorni, una Palestina ancora più isolata a causa della pandemia Covid-19 che sta seminando morte in tutto il mondo, ma l’impossibilità di viaggiare non mi ha consentito di rappresentarla. Il mio auspicio è quello di dare voce a tutte quelle persone che ho incontrato, con le quali ho condiviso tempo, pensieri, emozioni per lasciare un messaggio di speranza per un futuro migliore.